Trattato teologico-politico (Piccola biblioteca Einaudi Vol. 358) by Baruch Spinoza
autore:Baruch Spinoza [Spinoza, Baruch]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788858422359
editore: Einaudi
pubblicato: 2019-05-02T16:00:00+00:00
a Qui soprattutto è d’uopo richiamarsi a quanto abbiamo detto nel capitolo XVI intorno al diritto.
CAPITOLO XX
Si dimostra che in una libera Repubblica è lecito a chiunque di pensare quello che vuole e di dire quello che pensa1
Se fosse altrettanto facile comandare alla coscienza quanto alla lingua, ognuno regnerebbe in piena sicurezza e nessun governo degenererebbe nella violenza, perché ognuno vivrebbe secondo le intenzioni dei governanti e soltanto in conformità alle loro prescrizioni giudicherebbe del vero e del falso, del bene e del male, dell’equo e dell’iniquo. Ma questo, come già abbiamo notato al principio del capitolo XVII, non può avvenire, essendo impossibile che la coscienza soggiaccia assolutamente all’altrui diritto. Nessuno, infatti, può, né può essere costretto a trasferire ad altri il proprio naturale diritto, e cioè la propria facoltà di ragionare liberamente e di esprimere il proprio giudizio intorno a qualunque cosa. Ne viene di conseguenza che si giudica violento quel potere che si esercita sulle coscienze2, e che la suprema maestà fa violenza ai sudditi e sembra usurpare il loro diritto quando pretenda di prescrivere a ciascuno che cosa debba accettare come vero e che cosa respingere come falso, e da quali opinioni l’animo di ciascuno debba essere mosso nell’esercizio dei suoi doveri verso Dio. Tutto questo, infatti, rientra nell’ambito del diritto individuale3, al quale nessuno, anche se lo voglia, può rinunciare. Ammetto bensí che il giudizio possa essere molto spesso influenzato, e in maniera a volte incredibile, tanto che, pur non soggiacendo direttamente alla volontà altrui, penda tuttavia dalle labbra altrui in modo tale, da potersi dire con ragione che è ad altri soggetto. Ma, per quanti risultati l’artificio abbia potuto ottenere in questo campo, tuttavia non si arrivò però mai a tanto che gli uomini non sperimentassero che ognuno abbonda del proprio senso e che tanto variano le teste quanti sono i palati. Mosè, il quale, non per astuzia, ma per divina virtú4, era riuscito a influenzare al massimo il giudizio del suo popolo, come quegli che era ritenuto uomo divino e che nulla diceva né faceva se non per divina ispirazione, non poté tuttavia sfuggire alle calunnie e alle sinistre interpretazioni del popolo stesso5; e meno ancora poterono sfuggirvi gli altri monarchi: e se questo potesse essere in qualche modo concepito, lo sarebbe soltanto in un regime monarchico, ma non in quello democratico, dove il potere è esercitato collegialmente da tutti o dalla grande maggioranza dei cittadini. E credo che la ragione di ciò sia a tutti evidente.
Per quanto, dunque, le supreme autorità abbiano diritto a ogni cosa e benché siano ritenute interpreti del diritto e della pietà, esse non potranno tuttavia mai far sí che gli uomini rinuncino ad esprimere il proprio giudizio6 secondo il proprio punto di vista intorno alle varie cose e che non si lascino trasportare nell’esprimerlo da questa o quella passione. È vero che esse possono considerare come nemici tutti coloro che non sono d’accordo con loro assolutamente su tutto, ma noi qui non discutiamo del loro diritto, bensí di ciò che è utile7.
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